Ritorno oggi con la presentazione di Hana (o Hanasiranae, il suo nome completo). A mio parere, è un personaggio sottile, delicato, fermamente vincolato da catene di dovere e consapevolezza del proprio ruoto, ma tremendamente nostalgico e triste: nell'illustrazione che segue ho voluto circondarla dei toni del lilla (nel codice demoniaco dei colori, la vita che muore) e ho rovesciato lo sfondo, ponendolo in obliquo, per sottolineare la sua non appartenenza al mondo che protegge.
Questa presentazione è un po' diversa dalle altre: tutto ciò che è narrato esula dal romanzo vero e proprio; si tratta di eventi accaduti prima dell'inizio della storia, perché Hana è una creatura molto, molto antica...
Hanasiranae nelle sue vesti di Guardiana, by Vale
In più di millesettecento anni di
vita, Hanasiranae era stata molte cose. D’altronde, lei era la Guardiana del
mondo -la prima cosa su cui aveva posato lo sguardo erano stati gli occhi
freddi e imperscrutabili dell’angela che l’aveva creata: si era quasi persa in
quell’abisso di gelido spazio e argenti stelle che sembrava volerla
risucchiare, ma tornare in superficie, tornare alla realtà, era stato semplice,
più che semplice, perché la realtà la affascinava.
Hanasiranae, la Prima tra gli Spiriti,
essere composto di limpida luce violetta e del soffio inquieto di una mente,
amava la terra che era suo compito proteggere, anche se non poteva toccarla,
anche se non poteva respirarla, assaggiarla, sentirla. Era un fantasma, era
pura magia (a lei gli angeli avevano affidato il potere di Creare e guarire,
che ormai non erano più in grado di gestire), era il frutto di un incantesimo
disperato, l’ultima speranza per un mondo straziato da guerre potenti.
Era… una serva.
Il suo compito? Purificare Haryha dalla
follia.
“Giuro di proteggere la Tua
grandezza,” disse, frapponendosi tra l’angela Helian-ashta e i suoi nemici,
“Giuro di preservare la Tua coscienza,” disse, ergendosi al fianco del proprio
compagno -erano soli davanti all’immensità della guerra che dovevano, dovevano, combattere, a ogni costo,
portando avanti un terribile sterminio che pure era indispensabile.
“Giuro di stare al Tuo fianco fino
alla fine,” disse, guardando l’orrido spettacolo di un angelo che moriva tra
grida e lamenti e luce che si spegneva.
“Lo giuro sulla mia vita e sul mio
onore…”
Hanasiranae amava: amava,
profondamente, con tutta se stessa: amava il mondo per come era e amava la vita
e amava l’angelo Niallen che era l’unico a capire, l’unico a conoscere davvero
la grandezza del sacrificio che lei faceva; perché Hana non amava soltanto, lei
era innamorata, viveva un amore che non avrebbe mai potuto consumare.
In fondo, come sarebbe stato mai
possibile a uno Spirito -un etereo, impalpabile Spirito-toccare, stringere,
baciare? Eppure la sua anima era legata, vincolata da avide corde sottili a
quella di un Drago, il Primo, colui che era la sua metà, la Distruzione dove
lei era la Creazione.
La loro vita non era interamente
infelice: i Custodi non erano mai soli, in fondo. Perfino quando i due angeli
si separavano da loro, il Drago e lo Spirito restavano vicini, in contatto -si
accontentavano semplicemente di mescolare le proprie menti l’una con l’altra,
finché tutte le barriere svanivano e non restava altro che infinita gioia, la
sensazione di adeguatezza, di perfezione, portata dal semplice essere insieme.
Insieme vagavano, insieme cercavano,
insieme uccidevano e piangevano e si crogiolavano in un rimorso che veniva
dalla consapevolezza di non essere altro che strumenti di una vendetta
infinitamente più grande di loro, uno massacro che, per quanto giustificato,
era abominevole. Gli angeli impazziti avrebbero annientato il mondo -quella
stessa vita che avevano voluto e curato e cresciuto- e quindi era necessario,
era imperativo schiacciarli, annullarli, dimenticarli. Ma ogni vittima che
cadeva per mano loro era un passo verso un precipizio senza fine e senza via di
fuga, la prova che per Haryha non c’era più speranza. Quando i Guardiani si
sarebbero arresi, allora sarebbe giunta la fine.
Non lo sapevano, non ne avevano idea:
cercando pace, cercando una qualche sorta di espiazione, voltarono le spalle
alla terra che avevano giurato di proteggere sette secoli addietro e ne
cercarono una nuova. Fu un bel sogno -meraviglioso, invero, un curioso
intreccio di morbida luce speranzosa ed un senso di vittoria esilarante, un incontrarsi
di coscienze che, per la prima volta, sarebbe stato accompagnato da un tocco…
Mutarono forma.
Hanasiranae sentiva. Le sue dita
intrecciate a quelle di Irusakiran cantavano, e i baci che si scambiarono in
quei primi giorni, quei giorni che erano ancora giorni felici e forti di un
futuro pulito e limpido, furono ardenti e gioiosi, ogni loro contatto, anche il
più semplice, intimo e familiare all’inverosimile.
Ma gli angeli erano esseri
imprevedibili, cui il passare del tempo risultava irrilevante, futile persino;
non si poteva prevedere quando esattamente avrebbero scelto di vendicarsi della
perdita del loro più caro Potere, quando esattamente avrebbero gettato su demoni
e hakeruneshka tutta la loro furia mortale. Irusakiran e Hanasiranae
attendevano, all’erta, di cogliere i primi segni della fine di ogni cosa.
Non erano stati in grado di adempiere
al proprio compito.
Giunsero, infine, e l’ultima delle
loro guerre fu un evento orrido e vergognoso e indimenticabile -e tutto ciò che
i Guardiani avevano costruito, la pace, la comprensione, svanì in un istante
sotto i loro occhi di gelido universo, svanì sotto il peso di una Maledizione
folle e crudele che li avrebbe spinti a combattersi fino ad annientarsi: demoni
e hakeruneshka, popoli che erano l’uno il riflesso dell’altro, destinati ad
odiarsi e distruggersi in eterno in una replica di ciò che gli stessi angeli
avevano vissuto. Una punizione, forse?
Sì, era una punizione, e i Custodi ne
portarono il peso insieme; gli ottocento anni che seguirono scivolarono via in
fretta in un turbinio di battaglie inutili e sanguinose, in una interminabile
serie di fallimenti che li rese alieni e nemici di quella stessa terra che era
loro figlia. E pure si sacrificavano, minacciavano e imploravano, fino a che
non decisero ch’era troppo tardi, che si sarebbero lavati le mani di quella
gente che di loro non ne voleva più sapere.
Si ritirarono e la guerra li trovò
comunque. La guerra che erano nati per combattere si prese l’unica cosa per cui
Hanasiranae ancora lottava -la guerra, il suo stesso popolo si prese la vita
del suo amato compagno. Stringendo a sé il suo corpo freddo l’ultima Guardiana
gridava il proprio dolore e il proprio sconcerto e la propria rabbia, e per una
volta -l’unica- il suo potere di Creazione divenne scuro e crudele ed uccise.
La dolce Hanasiranae si macchiò le
mani del sangue di persone che avrebbero potuto essere risparmiate, ma non se
ne curò, troppo presa dalla propria cupa disperazione.
Cosa ne sarebbe stato di lei, adesso
che Irusakiran era morto, portandosi via metà della sua anima e tutto quel che
restava delle sue speranze? Non c’era altro che buio.
Ma era vincolata alla promessa che
lui stesso le aveva strappato prima di morire. Proteggerò questa terra, ad ogni costo.
In fondo, cosa importava che in lei
non fosse rimasta che una voragine aperta e vuota? Cosa importava che non
avesse più nulla da donare né da desiderare? Cosa importava che per quanti
sforzi facesse, Neith -terra dannata!- continuava a sfaldarsi tra le sue mani,
a sfuggire dalla sua presa tremante, a morire?
Cosa importava?
Lei era Hanasiranae. Era la
Guardiana.
-Vale
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