Splendida gente! Dopo un rientro
dolceamaro a scuola (ultimo anno di liceo… Salvami, O Provvidenza!) torno anche
sul blog, oltre che sui banchi!
Oggi vi presenterò Sasher (o Ny’ra),
personaggio verso cui nutro sentimenti contrastanti -odi et amo, a seconda della situazione- e a cui, in fondo, sono
particolarmente affezionata. È la più giovane fra tutti, è una mente in
crescita, dinamica e spaventata e audace, una creatura d’argento vivo, in
perenne mutamento; è terribilmente divisa tra due mondi, due parti di se
stessa, due diverse forme di lealtà: vorrebbe essere Migliore, e non sa
accontentarsi di dare semplicemente il meglio che può, vorrebbe sfidare ogni
cosa e uscirne vincitrice e si sente in colpa per questa sua sfrontata,
infantile arroganza. Le sue emozioni sono roventi, forti, conflittuali. È splendidamente
innocente e disincantata.
Era Sasher e i suoi occhi si posavano
su un tramonto vermiglio -caldo, morbido, unico tenero abbraccio che il mondo
le avesse mai concesso. Le sue mani sottili e bianche (nulla a che vedere con l’incarnato
bruno dei demoni con cui viveva e di cui era figlia) scivolavano leste sulle
tegole nere del Palazzo del Dittatore suo padre, carezzandone la superficie
gelida con sapiente destrezza. Quando camminava, non un suono sfiorava i
pavimenti di lucido marmo, non un filo di polvere si sollevava attorno a lei, e
nient’altro annunciava la sua solitaria presenza se non le risa di scherno e i
sussurri che la accompagnavano ovunque.
Lei era Sasher. Sasher, l’esperimento,
la figlia bastarda, colei che non avrebbe dovuto essere, una ragazzina sicario
il cui aspetto di Sanguemisto (ma poi, non erano forse tutti sanguemisto in
quella terra il cui unico vero popolo era svanito con gli angeli?) era frutto
di contorti incantesimi e di una madre Spirito e di un orrido abuso e di un
suicidio.
Lei era la più fedele. Il suo onore,
il suo Hetah, era quanto di più importante avesse in quel regno freddo e
spoglio che era la corte; pur essendo principessa di nome e di fatto, sempre
aveva servito.
“Mio signore,” Mio signore, non padre, mai padre, lui è al di sopra, lui è il
Dittatore, lui ha in mano la mia vita… “Vi prego di affidare a me la
missione di cui parlate. Vi prometto che farò più di quanto in mio potere per
portarla a termine.”
“Perderai la tua identità.” La mia identità, quale identità, che cosa
sono io, che cosa mi definisce? Certo non il mio nome, il mio nome che mi
condanna…
“Sono pronta a fare qualunque
sacrificio.” Qualunque sacrificio, pur di
andarmene da qui.
“Molto bene. Affido la missione di
sorvegliare il possibile Sovversivo a te, Sasher. Al più presto partirai alla
volta dell’Impero degli Elfi, insieme a due delle mie Guardie.”
Da quel momento fu Ny’ra. Innocente,
fragile, fedele. La sua mente confusa si aggrappò a quelle poche certezze che
le erano rimaste (il bene e il male, qual era la differenza?), sforzandosi di
comporre ricordi nascosti, cercando un’individualità di cui aveva un disperato
bisogno. Chi sono, chi sono, chi sono?
Occhi dorati gentili e pieni d’ironia,
un sorriso vittorioso e triste dipinto su un volto pallido e infermo, lenti a
mezzaluna posate su un naso dritto -Naeth, il Professor Naeth di Pherahet
divenne tutto il suo mondo; l’aveva accolta, l’aveva salvata, l’aveva guarita,
l’aveva accettata. “Sanguemisto. Non è molto diverso da ‘elfo’, sai?” diceva, e
accarezzava la micia Milu, candida ombra che gli donava sicurezza.
Ny’ra si guardava allo specchio e per
la prima volta ciò che vedeva non era più fonte di vergogna, non era più causa
di sconcerto e rancore vuoto verso un destino che l’aveva voluta aliena: Ny’ra si guardava allo specchio
e vedeva se stessa, vedeva una ragazza.
Avrebbe dato la vita per salvare
quella di lui. Gli avrebbe donato l’anima -chissà, forse Naeth lo sapeva,
vedeva l’affetto bruciante che gli riversava addosso, e la compativa un poco, perché
lui stava per morire, e non c’era verso di cambiare lo stato delle cose. L’aveva
costretta a promettere, promettere che non avrebbe sprecato tempo a cercare una
cura per la sua maledizione, non quando l’intera loro terra rischiava di
svanire, perire sotto la morsa di una calura mortale. E Ny’ra che lo amava era
forte per lui -per lui soltanto- e provava a salvare il mondo.
Poi d’un tratto un volto, un nome
-sua sorella che sussurrava ‘Sasher’ piano, a fior di labbra, in piedi sulla
linea di confine che separava demoni da elfi e su cui sorgeva la Rivoluzione. E
all’improvviso lei era di nuovo Sasher, ed era fredda e calcolatrice e
assassina, e la sua missione era di uccidere lui… Il tocco familiare di quel
filosofo Sovversivo si era fatto sconosciuto e indesiderato, il suo viso quello
del tradimento…
Da qualche parte, l’affetto
condizionante che aveva provato per il Professore premeva per uscire, ma lo intrappolò
in un angolo della propria testa. Come
posso tradirlo così?
Devi.
Ny’ra era ancora lì, nella sua mente,
e premeva per essere ascoltata, ruggiva e piangeva e minacciava, e Sasher era
spezzata, infranta, divisa, confusa…
Non
potrei mai competere… pensò la
Sanguemisto, con ciò che Naeth e Tessella
hanno fatto di me in così poco tempo. Ma presto Ny’ra scomparirà, perché io
sono quello che sono, e non le assomiglio affatto.
Eppure non trovava pace. Rifiutava la
consapevolezza di essere in parte artefice della fine di ogni cosa, artefice
della morte di Neith, della morte di Naeth… La scelta giusta era una e una
sola, ma quanto coraggio, quanta forza di spirito le ci volle per confrontarsi
col padre e ripudiarlo? Lei era Sasher, l’esperimento, come poteva pretendere
di aver voce in capitolo?
Ma l’aveva -Ny’ra l’aveva, lei l’aveva!
Ma chi, chi delle due era lei? Chi la rappresentava meglio?
“Lui è di Ny’ra che si fidava, era Ny’ra
che amava, Ny’ra, non Sasher.”
La madre di Naeth le sorrideva
gentilmente, ascoltando i suoi timori con pazienza. “Ma c’è davvero tutta
questa differenza fra Ny’ra e Sasher?” le domandò a bruciapelo. “Ricordati che
stiamo parlando della stessa persona. Anzi, forse in Ny’ra c’è molto più di ciò
che sei, rispetto a Sasher, soffocata dalle catene del Dittatore.”
Sasher chinò il capo, riconoscendo
quelle parole come veraci. “Tu, Tessella, hai ragione, ma fino a un certo
punto. Non posso cambiare ciò che sono diventata vivendo a Palazzo, non posso
essere soltanto e appieno Ny’ra, e allo stesso tempo Sasher non mi basta più,
non mi appartiene più. Ha senso quel che dico?” Si fece sfuggire una risatina.
Tessella annuì, e le pose un’altra
domanda: “E allora, bambina mia… è davvero necessario che tu scelga fra le due?
Ormai sei in grado di prendere il meglio di entrambe e decidere per te stessa,
per la tua vita. Hai uno splendido futuro davanti; sei libera.”
Forse, Sasher avrebbe potuto
crederci.
-Vale
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