Come promesso, ecco a voi la prima dei personaggi di "Le Ombre di Kaykoura": Diana, l'Harashan.
Chi è Diana? Be', è una ninfa appena diciottenne, orfana di padre e madre, che è stata costretta a vivere esclusa dal resto del mondo perché nata Nulla, ovvero senza Poteri, assieme ad altri come lei.
Chi è Diana? Be', è una ninfa appena diciottenne, orfana di padre e madre, che è stata costretta a vivere esclusa dal resto del mondo perché nata Nulla, ovvero senza Poteri, assieme ad altri come lei.
Al momento della propria Cerimonia (l'evento che rivela il Potere di ogni singolo elfo), si rivela come Harashan, o Potere Supremo -Shan, per gli amici- ovvero la personificazione della Magia nel senso più profondo del termine, l'altra faccia dell' Hara (la Natura).
Sebbene questo sia l'inizio di una nuova vita ben lungi dall'essere solitaria e cupa, Diana è perseguitata dal proprio passato e dalle Ombre, emissarie della Maledizione di Kaykoura, che sembrano non darle pace, e ciò contribuisce a rendere il suo carattere particolarmente lunatico e, alle volte, un poco acido.
Nonostante tutto, però, la parola che la descrive meglio è "Fiducia".
Diana, l'Harashan, by Marty
Per diciotto anni, Diana era vissuta
cercando l'ombra di un padre che non aveva mai conosciuto e il tocco di una
madre che l'aveva lasciata quando ancora era troppo piccola per capire.
Era cresciuta nel disprezzo della propria
gente per colpe che non erano sue… non proprio, almeno. Lei era Nulla, era una Shvrasta, una maledetta perseguitata da
un odio antico -senza tempo.
Quando la chiamarono per la Cerimonia
-l'evento che avrebbe infine deciso cosa ne sarebbe stato della sua vita- aveva
iniziato ad avere paura, eppure, in un certo senso, si era sentita libera.
Persino quando, mesi dopo, aveva varcato il cancello che l'aveva rinchiusa
nella Città Maledetta per il tempo di una vita, quelle due emozioni avevano
continuato a contrastarsi, regnando sovrane nel suo cuore già in tumulto.
Poteva ancora sentirlo battere forte, se
si portava una mano al petto.
Tu-tum,
tu-tum, tu-tum.
Non aveva badato ai sorrisi buoni di chi
l'aveva accolta nella Foresta, troppo presa dagli incubi che le facevano visita
ogni notte sotto forma di mani d'ombra, scheletriche e orrende, incubi che
avevano forgiato il suo carattere per trasformarla in una giovane donna
diffidente, e schiva, e insicura… dell'innocenza che aveva caratterizzato la
sua infanzia, non rimaneva che un vago ricordo.
E poi, poi anche per lei era arrivata
l'alba: nel terrore di una Cerimonia che si prospettava mortale, aveva sentito
qualcosa scorrerle nelle vene, un fuoco potente, magico, meraviglioso. Era diventata Harashan, la Magia, l'altra parte
dell'Hara, in un battito di ciglia, e con le braccia protese aveva stretto a sé
il fratello di cui ricordava solo la voce. Un ritrovo amaro, tuttavia, perché
aveva lasciato un ragazzo, e davanti a lei si era presentato il Keyahen, il Contratto, niente più
che un ostaggio con le catene abbastanza lunghe da permettergli di andare in
giro la loro terra senza sentirsi prigioniero.
E lei era più maledetta di quanto non
fosse stata fino a quel momento.
Eppure non le importava. Era felice,
aveva conosciuto persone che valeva la pena incontrare, amici fedeli, un
protettore, una famiglia.
Una sorella nell'anima.
Quando Maya aveva fatto la propria
comparsa nella sua vita, in principio ne aveva avuto timore, spaventata
dall'aura di purezza e dolore che sembrava circondarla, ma era bastato un
sorriso, una stretta di mano, perché si sentisse sicura, per la prima volta in
tutti quegli anni.
Si era trasferita ad Elfior, viveva in
mezzo a quella magia che le era stata sempre preclusa, e gli incubi si erano
trasformati in sogni, e i sogni… in una visione.
Guerra, morte, e occhi di ghiaccio
l'avevano accompagnata lungo una notte dannata, e nonostante sapesse che ci
fosse ben peggio degli umani -"quelli cattivi", l'avevano avvertita,
l'avrebbero presto trovata- era corsa a cercare conforto dall'elfa.
Conforto, già.
Qualcosa di cui conosceva solo il nome.
Non era forte, Diana, anche se avrebbe
tanto voluto esserlo; nascondeva la propria fragilità dietro al veleno di
parole troppo avventate, sguardi sbiechi, labbra serrate. Sorrideva alle
battute degli amici, ringhiava a chi tentava di dirle che poteva farcela. Buffo
come fosse capace di negare a se stessa la possibilità di sicurezza per darsi
più sicurezza.
Era una statua di vetro, lei: quando
cadeva, i suoi pezzi tagliavano.
Avrebbe dovuto aspettare molto tempo
ancora, prima di capire che non era più sola. Che era libera, e salva.
«E, ad ogni modo, ci siamo sempre noi due.»
Naam indicò rispettivamente se stesso e Lija con un cenno del capo.
In
vita sua non aveva mai incontrato nessuno come loro o, almeno, nessuno che
sorridesse così spesso e così veramente.
Chiuse
gli occhi, inspirando a fondo l'aria di primavera.
Basta, Diana. Non sei più sola, adesso.
-Marty
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