Maya, con le effigi del suo potere: il Serpente con il seme a indicare la vita mortale e immortale che protegge; la spada di Sharad a testimoniare la sua lotta contro gli Elfi Oscuri; il giglio blu che è simbolo del Consiglio degli Elfi di cui è Capo; by Vale
“Da questo momento in poi, piccola
Maya, tu sarai protettrice di questa terra; come elfa, sarà tuo compito dare
anima e sangue a lei e alle sue creature, fino a che non morrai, o vivrai nella
vittoria.”
Aveva cinque anni e lì terminava sua infanzia;
la testa reclinata all’indietro fin quasi a far male, fissava negli occhi lo
spirito severo e triste della Prima Elfa. Sharad la guardava, concentrata solo
ed esclusivamente su di lei, il volto pallido una maschera d’indifferenza tinta
dalla più minuscola goccia di compassione. Lentamente, in un gesto che troppe
volte aveva ripetuto, estrasse dal fodero la spada antica e gliela porse: così
passava a quella bambina tremante e fragile la propria assurda eredità fatta di
guerra e obbedienza e oscurità. Maya rimase in silenzio, osservando con timore
l’arma sottile e antica e più alta di lei scintillare di riflessi di giada
nella luce del mezzogiorno.
“Mia figlia è diversa… è figlia della
natura, prima che mia. Io devo proteggerla, Aelyo, e non ho tempo di giocare
all’assassino con te e la tua combriccola di Cacciatori.”
Suo padre capiva molto più degli
altri cosa significasse per la piccola Maya essere un’elfa: aveva sei anni e
nella sua mente si rincorrevano le memorie di Sharad e delle sue compagne,
ricordi adulti, incomprensibili, terrificanti, ricordi che erano tinti di
sangue e del nero colore della Morte. Lei sarebbe diventata lo scudo su cui si
sarebbe abbattuta la furia del loro eterno nemico, lei sarebbe diventata la
schiava della storia e del destino, lei avrebbe lottato fino a sacrificarsi.
Elanen voleva proteggerla, disperatamente.
Tu
sei la causa di ogni mio male.
Quelle parole dipinte sul viso della
madre erano forse ciò che le era più difficile affrontare; aveva sette anni e
suo padre era morto, morto perché la proteggeva, e davvero la bambina non
trovava in sé la forza di biasimare la ninfa che non riusciva neanche a
sopportare la sua presenza e voltava il capo per non dover posare gli occhi su
di lei. E i loro occhi erano tanto uguali -stesso colore turchino, stessa forma
affilata- eppure tanto diversi -quelli di Maya erano addolciti da una tristezza
infinita, qualcosa che le apparteneva ma solo in parte, quelli di Miisa erano
vuoti, allucinati.
“Elfa, il tuo solo scopo in questo
mondo è batterti con me! Combatti! Ti ucciderò in ogni caso, combatti!”
Maya aveva otto anni e la sua guerra
era ormai cominciata. Stringeva a sé il ciondolo di Sharad, la Lacrima del
Castagno, la manifestazione dell’enorme potere che doveva proteggere, e silenziosamente
affrontava il Re degli Elfi Oscuri. Chino su di lei, Kyragh la guardava con
millenari occhi di ghiaccio, portando con sé la certezza che non esisteva altra
certezza se non la lotta, la sofferenza, la morte.
La bambina spiava nella sua anima e
vi si vedeva riflessa, perduta in un oceano di oscurità, rimpianto, desiderio
di vendetta; era quello il suo eterno nemico, eppure odiarlo non le era
possibile -un’elfa non può odiare,
un’elfa è obbediente, un’elfa è buona- né provare il desiderio di ucciderlo.
Perché lui era diventato la sua àncora, il suo punto di appoggio, e per quanto
la tormentasse e la colpisse e la terrorizzasse, pure la consolava e la
abbracciava e guariva quelle stesse ferite che le aveva inferto…
“Tu sei la persona più coraggiosa che
io abbia mai visto. Sei più forte di un drago. Stammi bene a sentire, Maya.
Nessuno deve, hai capito? Tutti hanno
diritto a una scelta! Sia tu… che lui.
E lui per due millenni ha scelto il male e la follia e la perversione.”
A dieci anni, Maya era
pericolosamente vicina al punto di rottura. Non sapeva se sarebbe stata
l’indifferenza della madre o la follia di Kyragh a darle il colpo di grazia, ma
sapeva che sarebbe giunto. Per sessanta lunghi mesi aveva portato avanti la
guerra di Sharad -sono stata forte, non
ho mostrato debolezza, non ho consegnato il mio potere a lui, ma- aveva
paura, troppa paura. Raggomitolata tra le braccia del suo amico di una vita,
cercava una briciola di calore per superare un altro giorno; e Hashim, il
figlio della più grande Cacciatrice di Elfi Oscuri di ogni tempo, si aggrappava
disperatamente a lei e tentava di nasconderla allo sguardo di Kyragh. Lui era
il suo rifugio, e solo se premeva il viso nell’incavo del suo collo e sentiva
la sua voce all’orecchio e le sue mani nei capelli poteva trovare pace. Lui era
la sua speranza.
E davvero pensò che fosse finita
quando il Re Oscuro glielo portò via -lo uccise, forse. Invece Maya si scoprì
stanca e furiosa e ribelle, scoprì il desiderio di ergersi al di sopra di quel
destino che non aveva scelto, scoprì la voglia di vivere, ma vivere sul serio,
vivere serenamente. Gettò da parte gli ideali di Sharad -è un fantasma, un fantasma!- e fuggì.
“Sai, Maya, tu sei completamente
diversa da ciò che un’elfa dovrebbe essere. Sei un mistero -non riesco a
comprendere come tu possa anche solo desiderare di avermi vicino.”
Maya aveva ventidue anni -bella e
giovane e fresca e ancora schiava- e sedeva composta, vestita di bianco e oro,
la testa reclinata sulla spalla di colui che avrebbe dovuto essere suo nemico.
Varon la osservava con affetto e curiosità, e i suoi occhi di ghiaccio, così
simili a quelli di Kyragh, brillavano di una luce piena di meraviglia. “Siamo
uguali, noi due,” gli diceva lei, “Entrambi prigionieri di ruoli che non ci appartengono…”
Buoni,
cattivi. Che concetto infantile e pericoloso…
Erano due creature sole, vittime del fato: illudersi che forse sarebbe stato
amore a legarli fu facile, davvero, e fu quella breve relazione, più di ogni
altra cosa, a farle finalmente capire che non c’era un’unica risposta esatta; e
capì che per lei era indispensabile restare in equilibrio, bilanciarsi tra le
due parti, non sceglierne una e darle la propria fede assoluta.
“Maya, mia cara Maya -tu sai che
questa è casa tua: niente potrà separarti da noi. Non esiste dovere né destino
che possa vincolarti tanto. Ormai hai prestato giuramento, sei una di noi. Sei
libera.”
Maya sorrise al suo nuovo amico.
Aveva venticinque anni ed era Capo del Consiglio degli Elfi, aveva venticinque
anni e d’un tratto l’immortalità non le sembrava più una cosa terribile e
mostruosa. Hinn era al suo fianco, e Varon, e Darn, e tutti i suoi compagni, e
lei era a casa. Non aveva dimenticato il proprio dovere, non aveva dimenticato
Kyragh né la propria eterna lotta, no… Li aveva semplicemente messi da parte,
perché non erano essi a definirla: mai più, mai più, si sarebbe lasciata
incatenare da simili follie.
Era libera.
-Vale
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