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martedì 30 agosto 2016

I personaggi di 'Le Ombre di Kaykoura': Maya

Il quartetto dei protagonisti di 'Le Ombre di Kaykoura' si conclude con Maya. Mentirei se dicessi che pensare una presentazione che le si adattasse è stato facile... Per quanto sia il primo personaggio completo che io abbia mai creato (o forse proprio per questo) ho sempre l'impressione (o il timore) di non riuscire bene a mostrare quanto quest'elfa (l'unica nella sua terra) sia complessa e piena di sfaccettature: non è semplicemente una madre amorevole che non può avere figli; è molto più di una semplice guida politica; è fragile nella sua continua lotta fra ciò che ci si aspetta da lei e ciò che lei ritiene giusto; è forte nel suo essere di mente aperta e libera da pregiudizi, e nel suo saper leggere quel che si cela nell'animo di chi la circonda.


Maya, con le effigi del suo potere: il Serpente con il seme a indicare la vita mortale e immortale che protegge; la spada di Sharad a testimoniare la sua lotta contro gli Elfi Oscuri; il giglio blu che è simbolo del Consiglio degli Elfi di cui è Capo; by Vale



“Da questo momento in poi, piccola Maya, tu sarai protettrice di questa terra; come elfa, sarà tuo compito dare anima e sangue a lei e alle sue creature, fino a che non morrai, o vivrai nella vittoria.”

Aveva cinque anni e lì terminava sua infanzia; la testa reclinata all’indietro fin quasi a far male, fissava negli occhi lo spirito severo e triste della Prima Elfa. Sharad la guardava, concentrata solo ed esclusivamente su di lei, il volto pallido una maschera d’indifferenza tinta dalla più minuscola goccia di compassione. Lentamente, in un gesto che troppe volte aveva ripetuto, estrasse dal fodero la spada antica e gliela porse: così passava a quella bambina tremante e fragile la propria assurda eredità fatta di guerra e obbedienza e oscurità. Maya rimase in silenzio, osservando con timore l’arma sottile e antica e più alta di lei scintillare di riflessi di giada nella luce del mezzogiorno.

“Mia figlia è diversa… è figlia della natura, prima che mia. Io devo proteggerla, Aelyo, e non ho tempo di giocare all’assassino con te e la tua combriccola di Cacciatori.”

Suo padre capiva molto più degli altri cosa significasse per la piccola Maya essere un’elfa: aveva sei anni e nella sua mente si rincorrevano le memorie di Sharad e delle sue compagne, ricordi adulti, incomprensibili, terrificanti, ricordi che erano tinti di sangue e del nero colore della Morte. Lei sarebbe diventata lo scudo su cui si sarebbe abbattuta la furia del loro eterno nemico, lei sarebbe diventata la schiava della storia e del destino, lei avrebbe lottato fino a sacrificarsi. Elanen voleva proteggerla, disperatamente.

Tu sei la causa di ogni mio male.

Quelle parole dipinte sul viso della madre erano forse ciò che le era più difficile affrontare; aveva sette anni e suo padre era morto, morto perché la proteggeva, e davvero la bambina non trovava in sé la forza di biasimare la ninfa che non riusciva neanche a sopportare la sua presenza e voltava il capo per non dover posare gli occhi su di lei. E i loro occhi erano tanto uguali -stesso colore turchino, stessa forma affilata- eppure tanto diversi -quelli di Maya erano addolciti da una tristezza infinita, qualcosa che le apparteneva ma solo in parte, quelli di Miisa erano vuoti, allucinati.

“Elfa, il tuo solo scopo in questo mondo è batterti con me! Combatti! Ti ucciderò in ogni caso, combatti!”  

Maya aveva otto anni e la sua guerra era ormai cominciata. Stringeva a sé il ciondolo di Sharad, la Lacrima del Castagno, la manifestazione dell’enorme potere che doveva proteggere, e silenziosamente affrontava il Re degli Elfi Oscuri. Chino su di lei, Kyragh la guardava con millenari occhi di ghiaccio, portando con sé la certezza che non esisteva altra certezza se non la lotta, la sofferenza, la morte.
La bambina spiava nella sua anima e vi si vedeva riflessa, perduta in un oceano di oscurità, rimpianto, desiderio di vendetta; era quello il suo eterno nemico, eppure odiarlo non le era possibile -un’elfa non può odiare, un’elfa è obbediente, un’elfa è buona- né provare il desiderio di ucciderlo. Perché lui era diventato la sua àncora, il suo punto di appoggio, e per quanto la tormentasse e la colpisse e la terrorizzasse, pure la consolava e la abbracciava e guariva quelle stesse ferite che le aveva inferto…

“Tu sei la persona più coraggiosa che io abbia mai visto. Sei più forte di un drago. Stammi bene a sentire, Maya. Nessuno deve, hai capito? Tutti hanno diritto a una scelta! Sia tu… che lui. E lui per due millenni ha scelto il male e la follia e la perversione.”

A dieci anni, Maya era pericolosamente vicina al punto di rottura. Non sapeva se sarebbe stata l’indifferenza della madre o la follia di Kyragh a darle il colpo di grazia, ma sapeva che sarebbe giunto. Per sessanta lunghi mesi aveva portato avanti la guerra di Sharad -sono stata forte, non ho mostrato debolezza, non ho consegnato il mio potere a lui, ma- aveva paura, troppa paura. Raggomitolata tra le braccia del suo amico di una vita, cercava una briciola di calore per superare un altro giorno; e Hashim, il figlio della più grande Cacciatrice di Elfi Oscuri di ogni tempo, si aggrappava disperatamente a lei e tentava di nasconderla allo sguardo di Kyragh. Lui era il suo rifugio, e solo se premeva il viso nell’incavo del suo collo e sentiva la sua voce all’orecchio e le sue mani nei capelli poteva trovare pace. Lui era la sua speranza.
E davvero pensò che fosse finita quando il Re Oscuro glielo portò via -lo uccise, forse. Invece Maya si scoprì stanca e furiosa e ribelle, scoprì il desiderio di ergersi al di sopra di quel destino che non aveva scelto, scoprì la voglia di vivere, ma vivere sul serio, vivere serenamente. Gettò da parte gli ideali di Sharad -è un fantasma, un fantasma!- e fuggì.

“Sai, Maya, tu sei completamente diversa da ciò che un’elfa dovrebbe essere. Sei un mistero -non riesco a comprendere come tu possa anche solo desiderare di avermi vicino.”

Maya aveva ventidue anni -bella e giovane e fresca e ancora schiava- e sedeva composta, vestita di bianco e oro, la testa reclinata sulla spalla di colui che avrebbe dovuto essere suo nemico. Varon la osservava con affetto e curiosità, e i suoi occhi di ghiaccio, così simili a quelli di Kyragh, brillavano di una luce piena di meraviglia. “Siamo uguali, noi due,” gli diceva lei, “Entrambi prigionieri di ruoli che non ci appartengono…”
Buoni, cattivi. Che concetto infantile e pericoloso… Erano due creature sole, vittime del fato: illudersi che forse sarebbe stato amore a legarli fu facile, davvero, e fu quella breve relazione, più di ogni altra cosa, a farle finalmente capire che non c’era un’unica risposta esatta; e capì che per lei era indispensabile restare in equilibrio, bilanciarsi tra le due parti, non sceglierne una e darle la propria fede assoluta.

“Maya, mia cara Maya -tu sai che questa è casa tua: niente potrà separarti da noi. Non esiste dovere né destino che possa vincolarti tanto. Ormai hai prestato giuramento, sei una di noi. Sei libera.”

Maya sorrise al suo nuovo amico. Aveva venticinque anni ed era Capo del Consiglio degli Elfi, aveva venticinque anni e d’un tratto l’immortalità non le sembrava più una cosa terribile e mostruosa. Hinn era al suo fianco, e Varon, e Darn, e tutti i suoi compagni, e lei era a casa. Non aveva dimenticato il proprio dovere, non aveva dimenticato Kyragh né la propria eterna lotta, no… Li aveva semplicemente messi da parte, perché non erano essi a definirla: mai più, mai più, si sarebbe lasciata incatenare da simili follie.
Era libera.



-Vale

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