E questo, cari lettori, è il nostro primo libro, primo di una saga di quattro: "Le Ombre di Kaykoura".
'Harashan' è il suo titolo, e narra la storia di un meraviglioso mondo che sta cadendo a pezzi... si sa, le maledizioni non sono da prendere alla leggera!
'Harashan' è il suo titolo, e narra la storia di un meraviglioso mondo che sta cadendo a pezzi... si sa, le maledizioni non sono da prendere alla leggera!
Questo è il nostro unico lavoro a quattro mani, sul quale abbiamo temprato il nostro sangue di scrittrici, e che è nel nostro cuore da ben cinque anni, ormai... è stato ciò che ci ha legate e ci ha fatto dannare a lungo.
E allora, ecco a voi la trama -o, per meglio dire, un mostro di Frankenstein ricavato con stralci del romanzo, perché una sinossi va ben oltre le nostre capacità di concentrazione e produzione.
E allora, ecco a voi la trama -o, per meglio dire, un mostro di Frankenstein ricavato con stralci del romanzo, perché una sinossi va ben oltre le nostre capacità di concentrazione e produzione.
Diana e Maya, le protagoniste, by Vale
Quando Sharad creò
Shan, divise il proprio Potere affinché qualcuno potesse aiutarla nel proprio
compito, ma non può esistere Magia senza Vita, e non può esistere Vita senza Magia.
Seduta a gambe
incrociate, una ninfa dai lunghi capelli biondi giocherellava distrattamente
con i petali di un nontiscordardimé, una dei tanti giovani elfi che non
aspettavano altro che una seconda possibilità per riscattarsi, e che pure
rischiavano di morire nonostante non avessero fatto niente di sbagliato, se non
nascere Nulli, senza Poteri… Shvrasta. Aveva nome Diana.
«Ma quindi, lei, sarebbe l'Harashan?» Sussurrò Hinn,
accostandosi a Maya in modo da non essere sentito da altri.
L'elfa annuì: «Chi
altri, sennò?»
«Ma è così piccola! Tu sai che cosa le faranno loro; non penserai di certo che la
lasceranno in pace.»
«Loro,» Sibilò l'elfa: «Non le si
avvicineranno neanche, parola mia. In lei c’è più coraggio di quanto immagini,
la sua magia è imprevedibile. Si muove seguendo le sue passioni.»
«Il tuo spirito è pieno di dubbi.»
«Mi sorprenderebbe il contrario,» rispose Diana, inarcando
un sopracciglio e mettendosi un poco sulla difensiva, «Troverò il modo di
fugarli tutti.»
«Vorrei essere
libera.»
«Maya. Tu sei
libera.» La voce frusciante di Fares era tiepida e rassicurante e densa di
certezza.
«No, Fares. Io sono
schiava. La schiava del Castagno.»
Quella donna era
diversa dalle sue predecessore: si muoveva sul confine tra vita e morte, bene e
male, luce e buio, non era assolutista come le altre, non si schierava
ciecamente da una delle due parti, ma cercava di bilanciarsi sul bordo di un
precipizio senza via d’uscita, lo stesso in cui prima di lei Sharad, Harasìmia,
e per ultima Amijin si erano gettate a capofitto.
Silenziosa e
discreta, la nuova elfa divergeva dal cammino tracciato per lei dal destino, e
ne disegnava uno tutto differente, sconosciuto e pieno di sorprese e certamente
pericoli. Il suo equilibrio era quasi perfetto, e ogni volta che incespicava,
c’erano quei due elfi a sostenerla, uno con il Potere della Natura, l’altro con
il Potere Oscuro.
«Non temo Kyragh…
Temo il ricordo che ho di lui. Ha segnato la mia pelle e la mia anima, ed ero
solo una bambina… La sua presa su di me non si allenterà mai.»
«Non finché sarai tu
stessa a trattenerlo, ad aggrapparti a lui con tutte le tue forze. »
«È parte di me e ho
paura che se lo lascerò andare perderò me stessa.»
«Non avete nulla da
spartire. Lui era un mostro, e tu sei ciò che Kyragh non era e non è mai
stato. »
«Avrebbe dovuto
uccidermi e non l’ha fatto.»
«Avresti dovuto
ucciderlo e non l’hai fatto. »
Portava la corona,
doveva essere un Re o almeno un Principe, e si muoveva in modo infinitamente
più fluido e consapevole della maggior parte dei componenti del suo esercito
scomposto; assomigliava a un serpente, scattante, imprevedibile, subdolo. La
ninfa osservava rapita e al contempo nauseata l’espressione vuota e feroce dei
suoi occhi color del cielo nebbioso: erano agghiaccianti, distanti miglia e
miglia dalla battaglia, resi più scuri da un velo di rimorso mescolato a ira
crudele e impetuosa. Era l’antitesi stessa dell’elfa con la quale stava
incrociando le lame: c’era un che di sbagliato e negativo nel suo
atteggiamento, nel suo agire secco e distratto –era concentrato ma non
completamente, era lì ma non era lì… pensava ad altro… la sua anima era
macchiata, tormentata, accesa da una furia incontenibile. La sua camicia tinta
di vermiglio sulla spalla ferita e su entrambe le braccia dava l’impressione che
egli fosse una sorta di spirito vendicativo e sofferente, però contribuiva a
dare l’idea che mancasse qualcosa…
«Quanta falsità può esserci nelle parole di un uomo…»
«Vattene, Jonathan,
non disturbarmi oltre.»
«Onestamente, sire,
sono l'unico su questa nave che possiate chiamare 'amico'… davvero desiderate
allontanarmi e perdere quel poco di umanità che vi è rimasta? Dovrei forse
ricordarvi che…»
«Come osi rivolgerti
al tuo principe in questo modo?»
«Il mio principe? Il
principe che io conosco e servo non è un egoista, né tantomeno un mostro. Voi,
invece, lo sembrate davvero, un mostro egoista, incapace di provare anche solo
un po' di compassione.»
«T'inganni,
Jonathan.»
«Cosa state
osservando, sire?» Domandò l'uomo, avvicinandosi un po' di più all'albero
maestro.
Cedrick soffocò una
risatina amara: «L'Amor che move il sole
e l'altre stelle.»
«Vuole morire. È
stanco, l’avete abbandonato, e vuol morire.»
«Lui non può morire.» Ne era sempre stato
certo, fin da bambino, che qualunque cosa fosse successa, qualunque disgrazia fosse
capitata, il Maestro Hashim avrebbe saputo affrontarla, superarla, annientarla,
ergendosi indenne e invitto davanti alle avversità…
Il pensiero di un bambino.
«Perché no?»
«Fece una promessa.»
«Sai, una volta amai
una ragazza umana. La misero sul rogo che non aveva ancora compiuto vent’anni.
«Una volta divenni amico di una famiglia di
pasticceri. Si ammalarono, e morirono tutti.
«Da bimbo, vissi con una coppia di anziani
Lord. Invecchiarono, e si spensero che io ero diciassettenne.» Lasciò andare il
rosario e si prese il volto fra le mani: «Io
no.»
«Non capisco.»
«Quando potrò avere
anch’io un po’ di pace?» sospirò il Maestro, chinando il capo, «Sono immortale,
Jonathan. Sono immortale e voglio morire.»
Nell’oscurità della
cella si accese improvvisamente una luce candida, evocata da tre parole appena
sussurrate in una lingua sconosciuta: un piccolo fuoco fatuo color della neve
brillava pigramente nel palmo della mano dell’elfo che l’aveva creato dal
nulla, e il moto quieto che animava le fiamme sottili contrastava nettamente
con l’espressione desolata del prigioniero.
Quanto oltre posso spingermi prima di cedere?
Quanto ci vorrà prima che io impazzisca,
prima che mi arrenda?
Aiutami, Mihat, per carità.
«Perché ti ostini a
sacrificarti per quell’ingrato?»
«Perché non fai quel
che sei venuto a fare e taci?»
«Dunque, elfo. Eccoti l’ultimo dono di Sua
Altezza il Principe d’Inghilterra…» Senza preavviso, bruscamente, il carceriere
pestò la mano del prigioniero, finché non udì le ossa fragili spezzarsi con un
rumore nauseante.
«Quanto dovrò
testarti prima che tu reagisca?»
«Piuttosto la morte.»
-Marty e Vale
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