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martedì 16 agosto 2016

I personaggi di 'Le Ombre di Kaykoura': Hashim

Salve a tutti! Siamo sparite per un po', scusate tanto! Questa sera -anzi, notte, sto facendo le ore piccole- vorrei presentarvi un'altra delle voci narranti di Harashan, il mio elfo preferito, Hashim. In questo periodo della sua vita è conosciuto come Master Hashim Terence Williams, ma ha portato molti nomi: da bimbo è stato infatti esiliato nel mondo degli umani da uno dei Re Oscuri più potenti della storia di Haramihat (anzi, dal Re Oscuro per eccellenza, il folle, conflittuale, spietato Kyragh) e ha trascorso quasi cent'anni a girovagare per un'Inghilterra ancora aggrappata a un Medioevo in procinto di svanire...
(Questa volta il testo è un poco più lungo, chiedo venia, ci ho preso la mano! Le parole in inglese sono la sua lullaby, anch'essa mia invenzione.)



Hashim, circondato dai 'frammenti' delle sue molte vite, by Vale

“Darkness has fallen, my sweet
Your eyes are heavy, you’re tired”

La calda coperta della notte si stendeva come un manto sulla Londra dormiente, e Hashim osservava un cielo che non gli apparteneva con occhi violetti, occhi che di giorno avrebbe nascosto agli sguardi di quegli esseri umani che gli erano tanto vicini ma che non sarebbero mai stati, davvero, parte della sua vita. C’era una sorta di rassegnata stanchezza celata nelle profondità del suo sguardo che all’osservatore distratto sarebbe parso tutto fuorché triste, un concentrato di gioia e compassione e pura, limpida empatia. L’arte della menzogna era qualcosa che aveva appreso da bambino -unico mezzo per sopravvivere in un mondo dove la magia era peccato, era demonio, bandita e rifuggita, temuta, odiata, soffocata.
Perché Hashim era magia, ed era in trappola.
Il piccolo fuoco fatuo che stringeva tra le mani prese la forma di un altrettanto minuto draghetto dal corpo sinuoso e si arrampicò sulla sua spalla, solleticandogli il collo; era l’unica luce in un’oscurità che altrimenti sarebbe stata completa, e brillava rassicurante e segreto, cullato dall’elfo appollaiato in cima a una chiesa silenziosa. Nel corso dei cent’anni del proprio esilio in Inghilterra di chiese ne aveva visitate molte, come molte erano state le persone che avevano attraversato la sua tormentata esistenza immortale, di tanto in tanto tingendola di vivaci colori solo per poi spegnersi -candele senza più cera, questo erano gli umani, meravigliosi e affezionati pur se pieni di pregiudizi e paure. Effimeri. Transitori. Evanescenti.

“Let me lull you into sleep
Listen to my lullaby
Hush, now, my dear…
May my tender words warm your journey
To the land of dreams…”


Silenzio, implorava Hashim alla propria mente. Non voglio ricordare, voglio fingere. La stanza del Palazzo del Re d’Inghilterra era quieta e sicura, rifugio sacro e inviolato per i sogni dei bimbi umani e fragili che proteggeva: il Maestro sorrise teneramente, accarezzando con lo sguardo e con il morbido tocco di dita candide i volti dei due allievi, stretti l’uno all’altro nel calore di un letto infinitamente più grande di loro. Riccioli d’inchiostro si mescolavano a lisce ciocche castane, mani minute erano saldamente intrecciate, respiri leggeri e rilassati riempivano la camera di una musica cadenzata e dolce che l’elfo conosceva fin troppo bene. Quanti bambini aveva curato e cresciuto non lo sapeva, sapeva soltanto che li aveva persi, che non era stato in grado di vincere l’impossibile corsa contro il tempo, e ora tutto ciò che gli restava era l’eco di risate lontane che lo perseguitavano.
Il passato non è altro che un’ombra; il presente è reale. Fu con quel pensiero che Hashim si distese accanto ai piccini per sorvegliare il loro sonno, osservando con aria turbata le tracce di lacrime ancora visibili sul visetto perennemente in tensione del giovane principino, l’erede al trono, una creatura che era come vetro: trasparente nelle sue manifestazioni di dolore, rabbia, affetto, rigido nel suo modo di destreggiarsi goffamente nella vita di corte, estremamente delicato quando si trattava di sentimenti e autostima. Si rasserenò un poco nel vedere come Michael, più grande di quasi tre interi anni, persino dormendo sembrava volerlo schermare dalla furia di un padre che non lo desiderava.
Il Maestro sorrise orgogliosamente. Michael era la sua luce e il suo orgoglio, il suo bambino, suo figlio -adottato, naturalmente- ma prima di ogni altra cosa suo amico. Sospirando e costringendosi a non riflettere sul troppo rapido scorrere del tempo, l’elfo sguainò la spada che era una leggenda sulla sua terra perduta e si mise in attesa.

“And may the starlit night
Watch over your sleeping eyes
And kiss you goodnight, goodnight
Beloved child, beloved child, my child…”

Il sapore del combattimento non l’aveva mai veramente lasciato in tutti i decenni trascorsi così lontano dalla propria patria; lì, ancora infante, era stato un Cacciatore di Elfi Oscuri, una furia vendicativa votata al bene, un bene spietato e assoluto. A Londra, si limitava a battersi per sventare gli innumerevoli attentati che punteggiavano la già difficile vita dell’erede al trono. Se venissero dallo stesso Re o da nobili invidiosi o da semplici pazzi, Hashim non lo seppe mai, eppure erano tanti, troppi, e ai danni di un bambino… Tentava come poteva di nascondere a Cedric e Michael gli orrori di quella malsana e inutile lotta per la sopravvivenza, per quanto fosse difficile.
E così quando si trovò in un bagno di sangue circondato dai cadaveri di banditi che avevano tanto scioccamente pensato di ferire il quattordicenne principe non si sorprese né della tranquilla consapevolezza con cui il ragazzo lo guardava né del sorriso con cui accompagnò un abbraccio umido e tinto di cremisi. Non si sorprese, ma si rattristò.

“And may a thousand angels protect your dreams
And make them shine with love
Beloved child, beloved child, my child”

Hashim odiava quel mondo, il mondo degli esseri umani. In verità, lo amava quasi quanto lo odiasse -gli aveva dato molto, l’Inghilterra, molti amori, molti amici, molti affetti, molte famiglie, e altrettanti gliene aveva sottratti, brutalmente e con una suprema indifferenza che non mancava, ogni volta, di lasciarlo di sasso. Si sarebbe mai abituato al dolore della perdita, l’elfo che non era mai ciò che da lui ci si aspettava, che offriva conforto a chiunque lo chiedesse e ne avesse bisogno, che troppo spesso era stato scambiato per un angelo custode e poi accusato di non essere all’altezza del proprio compito? No, non si sarebbe mai abituato.
Rassegnato, sì. Abituato, no.

“Sleep now, I will kiss you
I will hold you close
You will always be my dearest
Beloved child, my child…”

Aveva dato se stesso per cent’anni a quegli stessi esseri umani che ora l’avevano messo in catene e bollato come mostro. Aveva offerto la propria vita e la propria libertà per proteggere i due bambini -ora giovani uomini- che erano la causa della sua dannazione, aveva accettato di lasciarsi torturare e umiliare e sottomettere purché loro fossero salvi, e allora…
Allora perché, perché nel buio della cella in cui era intrappolato Hashim non sentiva altro che il suono spezzato dei gemiti che gli sfuggivano nonostante facesse di tutto per tacerli? Perché Cedric gli aveva voltato le spalle, ignorandolo, abbandonandolo, posando su di lui occhi che non erano quelli che lo guardavano un tempo ma lastre di ghiaccio prive d’emozione, senza sentimento? Perché mostrava di non conoscerlo, di non riconoscerlo? Perché Michael aveva dovuto tradirlo? Suo figlio, il suo più caro bimbo l’aveva consegnato al Re, perché lui era Monster, devil, demon… elf.
Si era ingannato su di loro e su tutti gli altri. Questo è il prezzo delle mie menzogne: una prigione e la solitudine.

“And tomorrow a new day awaits
May it be happy and bright
May it be filled with joy
Forever, forever… as long as I live

Dearest child, beloved child, my child…”



Proprio non riusciva a trovare una scappatoia: poteva solo restare fedele a quella fatidica decisione che aveva preso poco meno di tre mesi prima. Scoraggiato, lasciò cadere in grembo le mani, e il ciacolio metallico di spesse catene incrostate di sangue accompagnò il suo movimento, rompendo il silenzio della minuscola prigione nel ventre della nave inglese.
<<I wish you would just listen to me.>> soffiò, sovrappensiero; questa volta, l’elfo aveva usato la lingua degli umani, una lingua che da troppo tempo gli apparteneva, e che amava e odiava in egual misura. <<I wish I could protect you.>>
Scattò non appena la porticina di legno che lo intrappolava venne spalancata con malagrazia, ma fu lesto a ricomporsi, e lentamente si voltò per fissare lo sguardo in quello ceruleo dell’uomo che gli si era fermato davanti.
<<Già di ritorno, Palmer?>> sibilò, senza far nulla per nascondere il disgusto che gli attraversava la voce vellutata e piena di sussiego.
Il carceriere che era il boia del Re d’Inghilterra sorrise gelidamente al prigioniero, passando nel mentre il pollice ruvido sulla superficie fredda della lama di un pugnale. <<Ebbene, Maestro Hashim Terence Williams, credevo non t’importasse di soffrire… Credevo non ci fosse uomo a corte che non potessi sconfiggere.>>
Hashim scelse di non rispondere, così Sir Palmer proseguì nel proprio tentativo di pungerlo sul vivo: <<Chi avrebbe immaginato che sarebbe stato il principe la causa della tua caduta?>>

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